Gli obiettivi di circolarità da raggiungere entro il 2020 per il settore della moda sono: investire in strategie di progettazione per la riciclabilità, aumentare il volume di indumenti usati raccolti, incrementare la vendita di indumenti usati e quella di indumenti realizzati con fibre riciclate. È stata la Global Fashion Agenda a lanciare la Call to Action for a Circular Fashion System in occasione del Fashion Summit di Copenaghen nel maggio del 2017. In quell’occasione 64 aziende, per 143 brand, avevano colto l’invito sottoscrivendo una lettera d’impegno.
Per alcune aziende stabilire quegli obiettivi ha rappresentato solo il passo necessario per avviare la transizione, ma la maggior parte delle industrie del settore non ha ancora formulato alcuna strategia per passare da un sistema produttivo lineare ad uno circolare a zero rifiuti.
Da dove iniziare, dunque?
L’infrastruttura che dovrà supportare la trasformazione necessita ancora di importanti investimenti per lo sviluppo di nuove tecnologie, ma l’industria della moda è fatta anche di persone con background diversi in termini di esperienza e formazione. Ri-educare i professionisti della moda è il primo passo decisivo per avviare la trasformazione del settore dall’interno.
La maggior parte dei lavoratori della moda sono stati formati per produrre capi d’abbigliamento da collocare sul mercato; la vita utile del prodotto, nella mente di chi lo progetta, va dai bozzetti al negozio. I designer non hanno visibilità su cosa succede dopo. Per passare ad una moda circolare è necessario che i professionisti del settore considerino l’intero ciclo di vita di un prodotto, dal reperimento delle materie prime alla sua dismissione. Tenere presente la vita utile del capo sin dalla sua ideazione è fondamentale, l’80% dell’impatto ambientale di un prodotto si determina, infatti, sul tavolo di progettazione.
È necessario concentrarsi sull’effettivo utilizzatore del prodotto, su chi indosserà il capo, e sulla funzione che l’indumento in questione svolgerà per lui. In questo modo i designer saranno nelle condizioni di individuare i materiali più adatti e di progettare cicli di vita appropriati per i prodotti in funzione del loro effettivo utilizzo.
Occorre inoltre considerare cosa succederà quando il consumatore deciderà di disfarsi del capo, pensare alla seconda vita dei prodotti e progettarli affinché ne abbiano una. Questo richiede un approfondimento nella conoscenza dell’intera filiera produttiva.
Si tratta di un cambiamento radicale nell’approccio al design di moda che richiede un’evoluzione della formazione dei professionisti del settore con il coinvolgimento delle istituzioni. Sono ancora poche le Università ad aver introdotto temi di sostenibilità e circolarità nella loro offerta formativa, il resto fatica ad aggiornarsi. Si configura il rischio di formare una classe di giovani laureati con una mentalità lineare, che potrebbe risultare obsoleta rispetto ai passi che l’industria avrà compiuto nella direzione della circolarità.
Occorre considerare, infine, che la trasformazione dell’industria deve essere accompagnata dal cambiamento del modello di business corrispondente. Progettare capi d’abbigliamento più duraturi e riciclabili avrà senso solo entro un sistema che promuoverà la riparazione di un indumento invece che la sua dismissione. La storia della pubblicità dimostra (caso Patagonia) che questa scelta strategica è vincente su tutte le altre possibili.
Crediti foto: Myriam Zilles, Free-Photos da Pixabay
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