Il COVID-19 ha cambiato il mondo in cui viviamo. Il problema principale da risolvere oggi è come riuscire a ripartire dopo questo improvviso fermo e come questa ripartenza possa essere un’occasione di miglioramento oltre che di ripresa.
Quello che le industrie della moda stanno cominciando a chiedersi è se, a seguito della crisi ancora più profonda dovuta a questa pandemia, sia davvero conveniente proseguire con la stessa strategia produttiva di sempre o se modificare l’approccio al lavoro in modo più sostenibile. Nella settimana tra il 20 e il 26 aprile 2020 si è svolta la Fashion Revolution Week durante la quale è stato pubblicato il Fashion Transparency Index. Da questo recente studio emerge infatti che moltissimi leader della moda, produttori e marchi stanno mettendo in discussione la propria struttura analizzando i propri settori da efficientare, i sistemi da cambiare e tutte le numerose iniziative di sostenibilità applicata da introdurre a beneficio della propria azienda ma anche dell’ambiente e del cambiamento climatico.
Partendo da questo presupposto è necessario però riflettere su un problema molto serio che ha colpito anche il settore della moda e cioè che il COVID-19 ha peggiorato in modo esponenziale la condizione di crisi che permeava già prima il mercato. Questo significa che solo i marchi che avevano iniziato da tempo un processo di sensibilizzazione e adozione di iniziative sostenibili riusciranno a proseguire i loro piani di trasformazione. Invece, tutti quelli che hanno sempre usato il greenwashing, si troveranno ad affrontare difficoltà economiche troppo elevate per poter sperare di progredire nel settore della sostenibilità o addirittura sopravvivere.
Effettivamente, quando le risorse economiche diminuiscono, si è disposti a correre meno rischi andando a rifugiarsi in vecchi approcci collaudati. E più complesse sono le catene di fornitura di un prodotto, più sarà difficile renderle efficienti. Questo rende vincenti i processi semplici e trasparenti che infatti riescono ad essere più resistenti nei momenti di crisi e fidelizzare di più i clienti. Ormai infatti i consumatori hanno capito quanto sia precario l’equilibrio del nostro ecosistema e soprattutto quanto potere hanno di modificare i comportamenti d’acquisto del mercato. Sono quindi diventati più esigenti e la sostenibilità risulta premiante nella scelta tra un marchio e l’altro.
Sulla base di recenti dati che sono stati raccolti da McKinsey in Spagna, Germania, Francia e Regno Unito da circa 6000 consumatori, è evidente come il 16% vorrà cercare prodotti sostenibili una volta che riapriranno i negozi dopo la crisi, il 20% ha già deciso di diminuire la spesa annuale verso la moda dando maggior valore a ciò che possiede già e il 45% preferirà seguire aziende che dimostreranno il loro coinvolgimento e le loro strategie per uscire dalla crisi e sposare sempre di più il loro approccio verso la sostenibilità ambientale e sociale. Da questi studi emerge che molto più probabilmente verranno scelte le aziende che:
- cambieranno i propri processi di produzione verso una sostenibilità di processo;
- investiranno in trasparenza e comunicazione verso il risparmio di risorse e il rispetto ambientale e sociale;
- troveranno nuove strategie per abbattere la sovraproduzione di nuovi prodotti a favore del riuso e noleggio di quelli già esistenti.
A tal proposito, tre settimane fa si è tenuto un evento molto importante quando Helena Helmersson, il CEO di H&M Group insieme ad Ikea, Unilever e altre aziende di settore hanno firmato un’alleanza europea per una Green Recovery. L’obiettivo è quello di contribuire tutti assieme ad investimenti fondamentali per far ripartire l’economia mondiale post crisi, nel rispetto dell’economia circolare e del cambiamento climatico come unici parametri fondamentali del mercato globale.